Repubblica, venerdì 24 novembre 2023: Massimo Ammaniti: “Il patriarcato non c‘entra”.

La caratteristica principale dell’articolo di Ammaniti sembra essere  quella di contrapporsi alla corrente principale seguita dai vari commentatori, i quali si attengono a una idea che si è immediatamente imposta e la cui fonte mi rimane oscura: all’origine di ogni femminicidio ci sarebbe la cultura patriarcale. Ammaniti invece chiama in causa la cultura che si è formata in opposizione a quella patriarcale, della quale descrive alcune coordinate: la legge dei padri  sanciva la superiorità maschile e la divisione dei ruoli: il padre doveva provvedere al sostentamento economico e la madre era costretta ad occuparsi della casa e dell’allevamento dei figli. Inoltre  la famiglia aveva numerosi  figli ed era allargata a comprendere nonni e numerosi cugini. Il padre possedeva l’azienda (agricola o artigianale) e  le attività lavorative, anche nella burocrazia statale, venivano spesso trasmesse alle generazioni successive. 

Tutto ciò cambia radicalmente dopo la Seconda Guerra mondiale. Con il Sessantotto nasce  una cultura giovanile autonoma, come affermato anche   dallo storico inglese Hobsbawn nel suo celebre libro Il secolo breve, la quale si batte contro il potere costituito, con  slogan quali la “fantasia al potere” e “è vietato vietare”. Le donne finalmente entrano nel mondo del lavoro. Tuttavia il padre di famiglia si viene a trovare in una situazione che agisce contro il suo senso di identità personale, infatti accade che i cambiamenti sociali e tecnologici rendano la sua posizione nella società insicura. Anche in famiglia il ruolo dei padri risulta sminuito. Si viene formando una situazione in cui sono il figlio o la figlia che legittimano il ruolo dei genitori: essi si sentano indispensabili soltanto se i figli li confermano. Inoltre  gli uomini si sentono impauriti e impotenti di fronte  all’essere sopravanzati dalle donne e reagiscono con rabbia e odio.

A mio parere è apprezzabile il tentativo di Ammaniti di  trovare nella società attuale e nelle attuali relazioni famigliari la sorgente dei tragici fatti di questi ultimi decenni, escludendo l’ipotesi di una responsabilità del regime di vita patriarcale. Tuttavia la sua definizione di ciò che non va nelle nostre società occidentali sembra rimanere a un livello ancora generico.

Repubblica, venerdì 24 novembre 2023: Massimo Recalcati: “Il peso del fallimento e la ferocia di narciso”.

Recalcati sostiene che di fronte alla fine di una relazione amorosa, di fronte all’abbandono o al tradimento, esistono per il maschio due vie: la prima è quella di sopportare il dolore del lutto e cercare di elaborarlo (si tratterebbe di persone che hanno come retroterra una cultura che viene dal 68, cultura che risente dei movimenti di liberazione femministi). La seconda è quella di chi  non sa sopportare la ferita narcisistica ed allora afferma il suo diritto di proprietà sulla donna, il diritto al possesso, che nasce dal maschilismo,  cultura del patriarcato. 

Risulta sorprendente questa radicale diversificazione nella ricerca delle origini dei suddetti tragici fatti tra due psicoterapeuti che si richiamano entrambi, va sottolineato, ad una  formazione comune entro il pensiero psicoanalitico. Recalcati ritiene responsabile il mondo della vita patriarcale, tutt’oggi in parte presente ed agente, mentre sottrae ogni responsabilità al mondo della vita successivo a quello patriarcale e a noi contemporaneo. Tuttavia, nel prosieguo della lettura, scopriamo una conclusione in Recalcati completamente diversa e che si avvicina a quella di Ammaniti.

La debolezza del maschio, l’incapacità di sopportare la frustrazione dell’abbandono, potrebbe derivare da una serie di esperienze avute nell’infanzia in cui il  legame originario con la madre  non è stato superato. Sembrerebbe che non sia mai avvenuto un lutto rispetto ai legami primari e cioè alla necessaria (per la crescita) separazione dalla madre. Nella vita giovanile ed adulta la dipendenza dalla madre diverrebbe dipendenza dalla compagna. Quando questa dipendenza viene tranciata,  la vita dell’uomo è destinata a sprofondare nel nulla. L’accudimento prolungato dei figli sarebbe oggi molto diffuso e la legge del padre, che un tempo favoriva il distacco dei figli  dai legami primari, verrebbe a non essere più imposta. Ci sarebbe insomma una tendenza a rendere la dipendenza dai legami primari interminabile.

Anche Recalacati dunque espone alla fine una teoria che descrive una società odierna in cui il patriarcato “ si è evaporato”, come sosteneva Lacan già quasi cento anni fa e come Recalcati sostiene da qualche decennio. Ciò non toglie che quanto alla fine detto risulti in contraddizione con l’inizio del suo articolo.

Sottolineiamo infine più che una divergenza forse una complementarietà: per Ammaniti nella società odierna il maschio vede una eclisse del suo senso di identità sia per la incertezza delle condizioni di vita materiali, che per la scomparsa del suo ruolo dominante in famiglia e  spesso anche sul lavoro quando viene sopravanzato dalla compagna. Recalcati vede invece nell’uomo la presenza di un senso di identità fragilissimo, in quanto avrebbe sempre bisogno di un legame di dipendenza da qualcuno (prima dalla madre, poi dalla compagna).

Vediamo ora come si articolano questi temi, in modo più ampio, in una conferenza  di Anna Maria Nicolò,  una psicoanalista che è stata Presidente della Società psicoanalitica italiana, dal titolo 

Legami violenti di coppia

ove fa riferimento a sue esperienze terapeutiche legate al tema considerato e a letteratura anche di tipo sociologica.

Nell’ultimo paragrafo si occupa di inquadrare i legami violenti “Sul piano sociale”.

Il funzionamento sociale sarebbe oggi anomico: ne derivano svantaggi, ma anche  un vantaggio: godiamo della importanza data alle scelte soggettive, quindi alla libertà individuale e alla affermazione di sé. Da cosa nasce l’anomia (che, ricordo, la sociologia denunciava già alla fine dell’Ottocento)? Niccolò indica due cause, ma non specifica se sono concomitanti o connesse causalmente:

  1. La famiglia rinuncia a esercitare autorità e gerarchia sui figli, si sviluppano relazioni fraterne tra genitori e figli,  o meglio paritarie, non ci sono responsabili. Una mutazione antropologica. Quindi si direbbe famiglie permissive, ma Niccolò intende anche che la coppia genitoriale si trova in crisi nel “generare amore,  trasmettere l’identità  e con il pensiero  contenere il dolore che il ciclo della vita comporta periodicamente”. Sembra una citazione del famoso libro di Harris e Meltzer sulla famiglia, che andrebbe oggi riconsiderato, penso. Dunque anche Nicolò non attribuisce responsabilità al patriarcato, come Ammaniti, anzi alla società anomica che è subentrata alla società patriarcale.

  2. La famiglia non si fa più portatrice dei valori (ideologie e credenze religiose) che  sostenevano  vasti legami sociali, di gruppo e comunitari, e il rispetto reciproco tra le persone. Un altro aspetto della mutazione antropologica. Da ciò derivano le epidemie crescenti tra adolescenti di bullismo, violenza, aggressioni anche al proprio corpo.

Insomma la “frammentazione famigliare” (purtroppo non viene meglio chiarito) genera la crescente violenza tra i giovani. Agisce negativamente il passaggio dalla famiglia autorevole alla paritaria e l’eclisse dei valori di gruppo.

Torniamo all’inizio della Conferenza, al paragrafo “Riflessioni sulla identità di genere”, che considera   l’origine della violenza psicologica dell’uomo sulla donna e poi separatamente l’origine della  violenza fisica, in particolare quella cospicua, che infligge  danni fisici e perfino la morte.

Niccolò parte dai valori della società che sono possesso, potere e  sesso. Tali valori sono riconosciuti e inculcati dai genitori nei maschi. Nelle figlie femmine invece il modello è  quello  della sottomissione e inferiorità che  le madri in specifico portano alle figlie. Si tratta di un giudizio che  le madri in primo luogo hanno  di se stesse rispetto agli uomini e lo  inculcano nelle figlie. Così molte donne   si vedono come compagne di un uomo e non come un essere autonomo. Quindi le donne puntano sulla bellezza. Vengono destinate a professioni che permettano di crescere figli, curare la casa e fare un lavoro compatibile.  La donna nella vita così organizzata, trova difficoltà forti. Se si mascolinizza entra in conflitto con gli uomini, che non lo sopportano, si sentono sminuiti, perdono la identità trasmessa dai genitori di essere superiori alle donne. Da ciò deriva che certi uomini si abituano a sentirsi superiori alla compagna e a viverla come un loro possesso, tanto che se questa  compie anche piccoli gesti  di autonomia  (prende una sua iniziativa, vuole andare a trovare un’amica, commenta in sua presenza  che un attore della TV è bello ecc.)  sentono che  sfugge al controllo e nasce aggressività, la vogliono umiliare, disprezzare, fare che  senta di non valere niente. Nicolò aggiunge che questi uomini non hanno un senso di identità maschile, sentono essi stessi di non valere niente.  Non si accorgono che hanno bisogno  di quella persona per sentirsi esistere.  

Proseguiamo. Nel paragrafo “Violenza agita e concreta”,  l’agire violento del maschio viene fatto risalire a una mancanza di empatia e autocontrollo ( incapacità  di esercitare il pensiero prima di agire),  che nascerebbe  da violenze traumatiche subite in passato, che hanno ingenerato paura e perdità del senso di sé, per cui ogni nuova frustrazione comporta, se c’è vicino una donna più debole, una proiezione in lei della propria paura (lei ora vive la paura, non io) o della propria rabbia persecutoria (in lei sconfiggo il mio antico nemico, che mi aveva in suo potere quando ero bambino). Colpisce la descrizione di Nicolò  del particolare stato mentale che si genera nella coppia ove il persecutore ha poi vergogna e anche la vittima  stranamente ne ha, tanto che si chiudono in una vita segreta e clandestina, durante la quale l’uomo promette di non farle più del male e la donna vuole credergli poiché lo ama e spera di migliorarlo. Si nascondono entrambi agli altri, sino a che la violenza esplode e diventa un evento pubblico. 

In definitiva originale risulta in Nicolò che differenzi le motivazioni della 

1)     violenza fisica degli uomini sulle donne (che viene ricondotta a esperienze   di traumi subiti per violenza fisica, non meglio specificata, dai bambini maschi).

2)     dalla violenza psicologica sulle donne, che risulta meno precisamente definita. Questa sembra sia fatta discendere dalla imposizione sociale a  bambini e giovani maschi delle finalità individualistiche di ricchezza, potere e sesso; la maggioranza dei maschi non può che provare fallimento nella competizione e quindi perdere senso di identità; allorché  le donne compagne, educate invece dalle madri alla sottomissione,  non la accettano e osano competere con maschi già provati dalla sconfitta, questi si rifugeranno nell’esercitare violenza psicologica al fine di liberarsi della umiliazione che essi stessi vivono. 

3)     la violenza fisica tra giovani maschi viene invece ricondotta a una evoluzione della famiglia, che risente della anomia (mancanza di regole) della società in generale. La famiglia,  in  cui è scomparso il potere paterno, diviene famiglia paritaria,  in cui non vengono più insegnati i valori del rispetto reciproco entro il gruppo sociale.

Ricordo, per finire, che all’inizio è presente una notevolissima affermazione della Nicolò, per me confesso nuova. Purtroppo essa non viene poi fatta agire nel discorso complessivo, che sembra farne a meno. La tesi è la seguente:

Alla luce delle moderne scoperte neuroscientifiche e della psicoanalisi post freudiana ci rendiamo conto che… la natura fornisce alcune caratteristiche alle donne per garantire la sopravvivenza della specie, come l’empatia, la reciprocità, la capacità di connettere emozioni e razionalità. Ciò  avviene grazie alla comunicazione emisferica presente nel corpo calloso, più sviluppata nelle donne, che fornisce alla donna la capacità di provare una preoccupazione materna primaria, la spinta alla riproduttività e la tendenza a non moltiplicare i partner sessuali,  per formare una famiglia ove crescere la prole. Tuttavia proprio queste qualità diventano punti di debolezza, vulnerabilità, insicurezza poiché non sono considerati  valori sociali in una società basata su ideali come il possesso, il potere, la supremazia del denaro e sulla sessualità” (p.1).  

Recensione di Marco Macciò